domenica 19 agosto 2012

  - Vecchio mio - disse Blédard, mentre tutti si agitavano intorno a loro - in realtà credo che non ti dirò chi era l'informatore. È meglio, per ragioni che non devo stare a spiegarti.
  Il prefetto rise vedendo l'espressione avvilita di Paulo. La prospettiva imminente dello champagne lo metteva, lui, di ottimo umore. Ciò spiega senza dubbio come si fosse lasciato andare a un contatto fisico che non era nel suo carattere. Rifilò a Paulo una pacca sulla spalla contemporaneamente a questa massima:
  - Solo nei romanzi gialli alla fine si scopre come sono andate realmente le cose.
  Quattro piani più in alto, senza darsi la pena di sporgersi fuori, Simon richiuse la finestra, esasperato dal rumore. Probabilmente dei bambini che spaccavano delle vetrine. Per quel che gliene fregava... Tornò allo schermo e scrisse:
  "Il commissario tirò dall'eterna pipa bianca che non si era neppure dato la pena di accendere, fissò per qualche secondo i ceppi che ardevano vivacemente e iniziò: - Eppure è semplice, ora vi spiego...".

(Serge Quadruppani, La salita della Courtille)
  È lì da un'eternità, gli sembra. Impressione assolutamente soggettiva, dovuta al rigore della temperatura che viaggia sotto il fatidico zero da una quindicina di giorni. L'acqua gela nei canaletti di scolo, i senzatetto sotto i portoni indifferenti. In preiferia ha nevicato; i fiocchi fanno sempre fatica a passare la tangenziale. Il sale sparso per la rete viaria imbianca le strade. Autunno piovoso, inverno precoce, non ci sono più le stagioni di una volta, si sa.

(Jean-Hugues Oppel, Tutti sanno dov'è, Alésia)
  Non potrebbe dire quanti colpi dei fratelli kabili si è beccato, ma hanno sparato almeno sei volte; sì, sei volte. È stato Farid che, come sempre, ha vuotato il calibro della sua grossa Magnum; Kamel guidava la Kawa ZXR, i due fratelli sembravano degli extraterrestri dietro la visiera fumé dei loro caschi. Sono usciti dal nulla, i bastardi. Non c'erano e di colpo erano lì. Cazzo, l'unica fortuna che ha avuto è che la pallottola destinata alla testa è finita contro il volante, fracassandolo completamente, e gli ha sfiorato solo la tempia. Un bacio di metallo rovente a trecentocinquanta metri al secondo. È quella che gli ha fatto perdere i sensi, ma non è quella che gli procura più dolore. Ne ha diverse disseminate dalla pianta dei piedi alla laringe, ma la sofferenza si concentra nella pancia, lì dove continua a pisciare sangue.
  Una cosa seria, il calibro dei fratelli kabili. Armi da poliziotti, sicuramente (gli infami, con tutti i loro ragazzi dentro la Buoncostume), Manhurin MR73 o Spécial Police. E munizioni d'élite, pallottole Winchester calibro 357 Magnum, scamiciate, che fanno grossi fori quando entrano e ancora di più quando escono, se non decidono di alloggiare comodamente nella colonna vertebrale, come raccontano fieri ogni volta che esibiscono i loro giocattoli alle ragazze, affascinate come se avessero davanti due grossi falli cromati e lustrati. I figli di puttana.
  E mentre l'odore degli escrementi invade l'universo, si sorprende a piangere. Qualche minuto dopo, il dolore spegne anche quest'ultima traccia di umanità.
  Comincia a gemere come un animale ferito dalla trappola che lo sta uccidendo. Trema. La paura e la sofferenza sono come tante pere iniettate a ripetizione.
  Disteso sui due sedili anteriori, è scosso da un singhiozzo e cominaia a vomitare un miscuglio confuso di sangue e materia irriconoscibile, poi sviene una seconda volta.
  L'ultimo barlume di coscienza gli urla che sta per morire.

(Maurice G. Dantec, Quando lampeggia la morte elettrica)

martedì 14 agosto 2012

  Meeks prese il fucile e cominciò ad aprire le porte a calci, una dopo l'altra. Una, due, tre, quattro... ragnatele, topi morti, cessi rotti, avanzi di cibo, giornali in spagnolo. I trafficanti probabilmente usavano quel posto per tenerci parcheggiati i messicani prima di portarli a lavorare come negri su nelle fattorie della contea di Kern. Cinque, sei, sette... tombola: un gruppo di messicani, due o tre famiglie, accovacciati sui materassi, sobbalzarono alla vista di un bianco con il fucile. "Calma, calma" aveva detto, tanto per tenerli buoni. Le ultime camere erano vuote. Meeks prese la borsa e la lasciò cadere davanti alla porta della numero dodici: posizione centrale, vista sul cortile, un materasso che perdeva l'imbottitura. Non male per la sua ultima notte in America.
  Un calendario con delle donnie alla parete. Andò a cercare il mese di aprile e cercò il giorno del suo compleanno. Era di mertedì. La ragazza aveva dei brutti denti, non era un granché e gli ricordava Audrey: ex spogliarellista, ex ragazza di Mickey. Per lei aveva ucciso un poliziotto e aveva fatto irruzione a mano armata nel posto dove Cohen e Dragna combinavano il loro grosso affare di droga. Fece scorrere le pagine fino a dicembre e si chiese che probabilità aveva di restare vivo per tutto l'anno. Provò una fitta di paura. Sentì che gli si contraeva lo stomaco e una vena sulla fronte si metteva a pulsare. Era coperto di sudore.

(James Ellroy, L.A. Confidential)
  Orologio alla mano, l'orchestra si concesse tre secondi di pausa, il tempo di farsi un bicchiere, e iniziò un altro brano trepidante, bebop puro. Alcune coppie invasero la pista in terra battuta dando al profano l'impressione di sistemare una faccenda familiare. Gli uomini stringevano le donne, le attiravano improvvisamente a loro, le allontanavano con la stessa dolcezza. Loro indietreggiavano piroettando, la gonna orizzontale - per quelle che la portavano, chiaramente - che scopriva orizzonti insospettati e provava la superiorità di quel capo d'abbigliamento femminile rispetto agli odiosi pantaloni. Poi tornavano alla carica, aggressive, il busto teso con arroganza, a rischio e pericolo di far esplodere il reggiseno.
 
(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)
  Ci misi quasi due giorni interi a riprendermi.
  Sentii una mano leggera passarmi sul viso una pezza fresca e profumata. Aprii gli occhi. Ero a casa mia, nel mio letto. Un'adorabile capigliatura castana con dolci riflessi di un rosso autunnale, bel bon bon ambrato, mi vegliava. Io mi faccio vegliare dalle capigliature. È più originale. Capigliatura e mano appartenevano a Hélène, la ben nota graziosa. Essere malati diventava un piacere.
  "Ho l'impressione di averle prese di brutto", dissi.
  La mia voce risuonava chiara, con tutta la sua solita forza. La mia voce mi piaceva.
  "Sì", disse Hélène. "Ma ha soprattutto commesso un'imprudenza, ha voluto fare il Nestor Burma fino in fondo. Come al solito".
  "Cos'è successo, amore mio?".
  "Sembra che se si fosse limitato a svenire senza cercare di reagire... se fosse rimasto tranquillo, steso nell'androne, ad attendere un ritorno naturale dello stato di coscienza... o più semplicemente che qualcuno la trovasse... sarebbe stato infinitamente meglio per la sua salute. L'ha detto il dottore".
  "E invece cosa ho fatto? Ho ballato il jitterbug?".


(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)
  Forse era l'effetto della stanchezza e dei postumi della sbornia, o il ricordo, ancora presente nelle mie narici, della camera da letto del morto. Niente appariva pulito, né schietto, in quel pasticcio. Fiutavo qualcosa di profondamente schifoso, di incredibilmente viscido. Ci sono dei giorni così, in cui la malinconia si taglia con il coltello.

(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)

domenica 12 agosto 2012

  Il tragitto che portava alla famosa Cave-Bleue era disseminato di insidie. Prima di tutto si inciampava contro le pattumiere che aspettavano i netturbini sotto il portico del passage Dauphine. Poi, si rischiava di slogarsi una caviglia sui soliti acciottolati irregolari che fanno il fascino di questo genere di posti. E non era tutto. La cosa più difficile era ancora da farsi: raggiungere l'ingresso della cantina. Davanti alla porta bassa, sopra la quale la scritta "Cave-Bleue" era tracciata in un carattere confuso su un'asse di legno fiancheggiata da due lanterne dalla forma bizzarra, si ammassava una folla compatta, che vociferava e lanciava grida animali. Pioveva su tutta quella gente ma, di tanto in tanto, come se non fosse abbastanza, da una finestra dei piani superiori arrivava ad aggiungere una nota di freschezza anche qualche secchio d'acqua, nel migliore dei casi, accompagnato dalle imprecazioni del mittente che avrebbe voluto dormire un po'. Due donne in abiti da sera molto scollati, originarie del Nuovo Mondo e più o meno contemporanee di Abramo Lincoln, già vittime di una di queste cateratte supplementari, trovavano simili intermezzi molto divertenti ed exciting, e reclamavano a squarciagola un'altra aspersione. Che, in genere, non si faceva attendere. Chissà quanto pagavano per le bollette dell'acqua gli abitanti del posto. Sembra proprio che grazie ai guadagni senza eguali che è riuscita a realizzare in questo quartiere, la Compagnie de Distribution abbia potuto dar corso alla riparazione delle tubature in altri arrondissement praticamente a costo zero.

(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)
  Chiusi la finestra e girai l'interruttore. La punta incandescente della Gitane accesa di Hélène era la sola luce a bucare l'oscurità. La mia segretaria sospirò:
 
«Non fa certo freddo».
 
«Se ha troppo caldo, si svesta».
 
«Non dica sciocchezze».

(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)

sabato 11 agosto 2012

  Una morte che "La Vipère lubrique", un settimanale che usciva il martedì, giudicava misteriosa. Ma per la lubrica rubrica della rivista non esistevano decessi normali. Erano tutti provocati dalla mano della congrega massonica succube dei gesuiti. Era la forma mentis dominante del settimanale e non l'avrebbero cambiata nel 1955 unicamente per farmi cosa gradita.

(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)
  Mi trascinai verso quai des Grands-Augustins. Mi sentivo a pezzi, sporco come un maiale, con effluvi di sudore rancido nella bocca impastata. Al Café de l'Ecluse lo scafandro che fa la guardia nella vetrina del cabaret animato da Léo Noël mi fece gli occhiacci. Non mi sarebbe bastato uno scafandro per continuare a restare a galla in quella squallida storia. Mi ci sarebbe voluta anche una solida armatura. La faccenda stava prendendo una piega alquanto bizzarra. Rischiavo di lasciarci la pelle di contribuente medio a reddito variabile senza il minimo sindacale garantito. Certo, quello che intravedevo rendeva più piccante il piatto, ma con il piccante bisogna fare attenzione per non mandare a fuoco la bocca. Piano, Nestor!

(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)
  L'Echaudé stava aprendo in quel momento. Il personale era rappresentato da Louis, il barista, e un altro cameriere. Henri non arrivava mai prima delle dieci. Louis sventolava uno straccio sul bancone e il collega stava finendo di sistemare le sedie attorno ai tavoli. La radio diffondeva in sordina un brano lento per pianoforte. Nessun altro rumore. Quasi nessuna luce. Solo un'applique in servizio, nell'angolo più lontano. Non troppo caldo. Nessun cliente a parte Marcelle che fumava una Gauloise, seduta sotto il manifesto di Chéri-Bibi e davanti a una consumazione che non aspettava che l'arrivo del Chéri-Burma per essere rinnovata.
 
(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)
  Siamo a quattro notti dalla luna piena e c'è un quadrato di luce lunare sulla parete e mi sta fissando come un grande, cieco, lattiginoso occhio, un occhio di muro. Sciocchezze. Un paragone maledettamente stupido. Gli scrittori. Tutto deve ricordare qualcos'altro. Ho il cervello soffice come panna montata, ma non altrettanto dolce. Altre analogie. Vomiterei solo pensando allo schifoso mestiere. Vomiterei in ogni caso. Probabilmente vomiterò. Non incalzatemi. Datemi tempo.
(Raymond Chandler, Il lungo addio)

venerdì 10 agosto 2012

  Il tizio che vidi uscire dal palazzo dove, al momento, abitava Bernard Lebailly mi colpì per l'aspetto funereo. Facce simili le avevo viste solo dagli esattori, dalla parte sbagliata dello sportello. O a Bagneux, dietro ai carri funebri e tra i cipressi. Era un uomo nel pieno degli anni, di statura media, corporatura normale, con addosso un sobrio completo confezionato di un colore neutro, destinato, se non avesse avuto quell'aria venefiac che si sprigionava dall'insieme, a passare inosservato. E forse era quello che gli accadeva nella vita quotidiana tra i comuni mortali. Ma io possiedo un naso organizzato per fiutare "le cose che sono dietro le cose", come dice Michel Krauss, il pittore di Quai des Brumes. Innanzitutto pensai che fosse cieco. E questo per via dei suoi occhi, riparati sotto arcate prominenti, in un viso freddo, inespressivo e lontano, occhi che non vivevano, spenti, di un'indicibile e toccante malinconia. Rattristati. Di una tristezza interiore, che si sentiva senza dover ricorrere alla fascia da lutto e altre smancerie. L'aria di un vedovo. Non saprei meglio caratterizzare il personaggio. E per me questo descrive perfettamente ciò che voglio dire. Non ho mai evocato senza malessere lo stato di vedovanza di un uomo. Per le vedove non è la stessa cosa. Forse a causa di quella celebre e allegra che esercita un'influenza sulle consorelle, anche se piegate dal dolore. Ma un vedovo! È senza appello, irrimediabile, colpito da maledizione, smarrito. Per me è legato a un'atroce idea di mutilazione sessuale.

(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)

  Ricominciai a scherzare: 
«Impossibile fermare il progresso. Dopo le balestre, l'artiglieria. Dopo l'artiglieria, i missili atomici. Nestor Burma sta al passo. Una volta, ai bei tempi andati, usavano il manganello contro di me. Oggi mi stordiscono a suon di portoni. Non dispero, se un giorno un'inchiesta mi dovesse portare nel VII arrondissement, di poter ricevere la Torre Eiffel stessa sulla capoccia».
 
(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)
  Mi voltai e chiusi la porta. Sembrò una buona idea in quel momento. Quando mi girai verso di lei, mi stava cadendo fra le braccia. E così l'afferrai. Non avrei potuto farne a meno. Si strinse forte contro di me e i suoi capelli mi sfiorarono il viso. Alzò la bocca verso la mia per essere baciata. Tremava. Socchiuse le labbra, dischiuse i denti, e la lingua dardeggiò. Poi abbassò le mani e strappò qualcosa, e la vestaglia che indossava si aprì, e sotto la vestaglia era nuda come una mattinata di settembre, ma maledettamente meno pudica.
(Raymond Chandler, Il lungo addio)
  A casa, quando ci tornai, appostate nella buca delle lettere mi aspettavano due fatture adulte cresciute piuttosto bene. Dovevano trovarsi lì da sabato sera e sembrava che avessero approfittato della domenica per ingrassare. Alcune fatture mi fanno quell'impressione. Una era rosa chiaro, sembrava un rossetto molto apprezzato, l'altra era invece di un azzurrino adatto a un abito primaverile. Oggigiorno esistono anche carte così. Irresistibili. Talvolta i creditori ricorrono a certe malizie. Presto le avvolgeranno nei reggiseni per farti perdere ogni controllo. Appoggiai le fatture sul sottomano, ben distanziate tra loro per evitare qualsiasi pericolo di proliferazione, e presi il telefono che suonava a festa:
 
«Qui Nestor Burma», annunciai.
 
«Ah! finalmente...».
  La voce del signor Jérôme Grandier.
 
«È da sabato che cerco di raggiungerla, inutilmente».
 
«Weekend», risposi. «Ci sono novità?».
 
«Più o meno. Mi piacerebbe parlarne con lei».
 
«Volentieri. Quando?».
 
«Appena ha un momento».
  Non sembrava più avere tanta fretta.
 
«Prima è, meglio è», fecero le fatture.
 
«Prima è, meglio è», dissi io nell'apparecchio.

(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)
  «È il mio vero cognome», approvò Germain Saint-Germain. «Bergougnoux. Albert Bergougnoux. Non solo il nome non è un granché, ma quelle due sillabe identiche che si susseguono non lo migliorano affatto. Ammetterà che Bergougnoux non è proprio brillante e che dovevo trovare qualcos'altro per firmare le mie opere».
  "Le mie opere" risuonò in modo molto particolare: ne aveva talmente piena la bocca che c'era da chiedersi se riuscisse ancora a respirare.

(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)
  Il mio ospite chiamò il cameriere incaricato del servizio in sala e il ragazzo si affrettò a prendere l'ordinazione e a portarci ciò che avevamo chiesto. Accanto a noi, la coppia dall'aspetto cinematografico recitava la parte del bacio fino al soffocamento. Sembrava che nessuno dei due soffrisse d'asma.

(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)
  In rue du Pont-de-Lodi la casa indicatami da Hervé era accanto al magazzino della NMPP. Era un edificio di camere in affitto di modestissimo aspetto e che non doveva rendere molto ai proprietari. La portinaia ricordava solo da molto lontano Martine Carol.
  «Polizia»
, dissi, con il tono di uno sbirro impaziente sventolandole sotto il naso una tessera del Touring Club, tanto per farle vedere un po' di mondo.
 

(Léo Malet, La notte di Saint-Germain-des-Prés)
   Non capita spesso di trovare Fred Baget in compagnia di una bella donna soltanto. Attorno a lui, di solito, ce n'è una schiera. Mi chiedo quale sia il suo segreto. E' vero che è un pittore, un pittore "molto parigino", per così dire. E, come se non bastasse, abita all'Ile Saint-Louis, altro elemento a favore della sua denominazione di origine controllata. Lui e io non siamo proprio intimi, amici per la pelle, ma ci conosciamo abbastanza perché, di tanto in tanto, mi inviti a bere qualcosa da lui. E io non rifiuto mai. Non sono contrario a una bella lustratina d'occhi - fa bene alla vista - e da Fred Baget, su questo versante, si è sempre certi di non restare delusi. Lo ripeto, di norma il suo atelier e l'appartamento connesso brulicano che è una meraviglia di belle ragazze svestite, o perché stanno posando davanti al maestro, in un gruppetto di grazie che lui fissa sulla tela, o perché, in abito da sera scollato davanti e dietro, partecipano ad uno dei ricevimenti che l'artista ama spesso dare.
   Ma in via del tutto eccezionale, il giorno di cui parlo, un pomeriggio nebbioso di febbraio, c'è una sola donna da Fred Baget, distesa su un divano basso in una stanzetta dall'incerta destinazione.
   Non è nuda, ma è morta.

(Léo Malet, Pandemonio a Rue des Rosiers, pag. 1)